
Il sesto Oreb

Il Tatto... part. 1
Il tatto... part. 2
Ogni uomo ha una vocazione all’amore ed è chiamato a vivere questo amore con lo spirito e con il corpo.
Dio non manca di soccorrere chi confida in lui, e nella Bibbia l’unione di un uomo e di una donna non viene vista come un fatto accidentale, ma come un compimento di un preciso progetto di Dio, un progetto di eternità. La sessualità è uno dei bellissimi doni che ci ha fatto Dio per la nostra vita. Avere un buon rapporto con la propria sessualità è una necessità per essere felici. Detto così sembrerebbe la cosa più semplice del mondo, purtroppo non è affatto così. Vivere bene con la propria sessualità è difficile sia da single, sia da fidanzati, sia da sposi, ma vi assicuriamo che non è impossibile. Come abbiamo detto è un dono di Dio e quindi puro, bello e miracoloso se vissuto nel rispetto del progetto per cui è stato creato. Vivere bene la propria sessualità richiede di mettersi in cammino. Fare l’amore è bellissimo ed è fonte di amore e felicità se vissuta nel rispetto del progetto per cui è stata creata.
- La sessualità non è istinto, questo, è presente come forza nella sessualità, ma non la comanda; in essa devono esservi presenti rispetto, tenerezza, accoglienza e dono.
-Non è piacere: è coinvolto in essa, ma non ne è lo scopo. Il piacere della sessualità è dato dall’incontro con l’altro non dal piacere fisico.
La responsabilità della propria sessualità comporta certo un’ascesi faticosa, contrassegnata anche dalla rinuncia, la quale però non è fine a se stessa ma ha come scopo la migliore espressione della propria sessualità. E’ difficile l’inizio; sono faticosi i primi passi nella via per la quale il Signore ci introduce, poi, quando nell’obbedienza ci siamo realmente impegnati, sembra che Dio faccia tutto da sé. Vivere la castità nel fidanzamento è utile per non cadere nel tutto concluso ed è importante viverla, non per non trasgredire le regole, ma per non spegnere l’amore. E’ importante vivere un cammino di pari passo tra corpo e anima e vivere la differenza tra la piena e definitiva comunione di vita e di amore tra il fidanzamento e il matrimonio con una diversa modalità di vivere la sessualità. Vivere il fidanzamento così necessita sicuramente di preghiera, della forza dello Spirito e di fiducia l’uno nell’altro mettendo Dio al centro del nostro cammino di coppia, sicuri del suo amore e che ci vuole felici. L’unione di un uomo e di una donna non è un fatto accidentale, ma il compiersi di un preciso progetto di Dio che nasce nell'eternità. Nel matrimonio se l’amore tra marito e moglie viene vissuto come unione totale, di corpo e anima, esso diviene un’immagine vivente dell’amore divino.
L’amore fiorisce là dove gli uomini hanno riconquistato la propria libertà, dove hanno scacciato le proprie paure, dove il sesso non incute più timore ma è fonte di gioia, dove la fede ha aperto la certezza che l’amore di coppia è una realtà alla quale gli uomini sono chiamati da Dio. I frutti ricevuti da questo modo di impostare il nostro non avere rapporti prima del matrimonio non sapete quanto ci ha aiutato dopo nel vivere la sessualità da sposi. Provare per credere. Si sente dire che il matrimonio è la tomba dell’amore. Per noi è stata la partenza verso un viaggio eterno, è bello vedersi cambiati in questi anni vedersi sempre più belli. Imparare a gestire e a vivere la sessualità nelle diverse stagioni familiari ( nascita di un figlio) La fantasia l’intensità e l’importanza che sappiamo che ha la sessualità nel nostro amore, il saperlo puro dono e fonte di vita del nostro amore e dei nostri figli.
Il tatto... part. 3
Beata te Chiara
La beatitudine di coloro che sono nel pianto dice l’attesa dolente di chi vede ancora non realizzata l’opera di Dio. Non è beato, perciò, il pianto su se stessi, sul proprio io chiuso egoisticamente in sé, sui propri limiti, insuccessi, fallimenti.
Bene lo aveva compreso S. Chiara che scrive ad Agnese di Praga: “Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai”. (Dalla 2 lettera).
E’ fondamentale il “con Lui”, ovvero il “partecipare alle sue sofferenze” come dice Paolo nella lettera ai Romani: “Se siamo figli siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo se veramente prendiamo parte alle sue sofferenze”(Rm. 8,17)
Nel caso della beatitudine degli afflitti a quale sofferenza di Gesù si tratta di partecipare?
Delle occasioni delle quali Gesù ha pianto possiamo individuare come rispondente a questa beatitudine il pianto su Gerusalemme: “Gerusalemme, Gerusalemme… quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli… e voi non avete voluto… non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”(Lc.19,41). E’ la sofferenza di Gesù di fronte alla non accoglienza del dono che è Lui stesso. Chiara è entrata costantemente in questo dolore e afflizione attraverso la sua compartecipazione, il suo portare sempre nella memoria la passione del Signore, la sua vita di “sentinella posta sulle mura di Gerusalemme per risvegliare il ricordo del Signore”. Chiara, attraverso la sua vita di preghiera e di restituzione di sé a Dio, ha risposto all’ invito del profeta, non si è data mai riposo né al Signore ha concesso riposo ricordandogli le Sue promesse finchè non abbia ristabilito Gerusalemme. (cfr. Is. 62,6). La partecipazione di Chiara è molto reale: di lei sappiamo che “dall’ora sesta a nona è presa da maggiore compunzione volendosi immolare con il Signore immolato” e che insegnava alle novizie a piangere la Passione di Cristo (FF 3214-15, Cel.30), ad averla sempre dinanzi agli occhi: questo perché dal Crocifisso si apprende la grande lezione dell’amore e non si finisce mai di scoprire quanto Dio ha fatto per noi. Guardare Cristo Crocifisso spinge all’imitazione: chi si sente amato desidera riamare con la stessa misura di amore e così per Chiara e le sue sorelle questo eccesso di carità si trasforma in una vita penetrata dal Vangelo, nella povertà e nella carità fraterna.