Oreb di Dicembre... le foto
Finalmente sono arrivate!
Notte sotto le stelle
Il sesto Oreb
Il Tatto... part. 1
Il tatto... part. 2
Ogni uomo ha una vocazione all’amore ed è chiamato a vivere questo amore con lo spirito e con il corpo.
Dio non manca di soccorrere chi confida in lui, e nella Bibbia l’unione di un uomo e di una donna non viene vista come un fatto accidentale, ma come un compimento di un preciso progetto di Dio, un progetto di eternità. La sessualità è uno dei bellissimi doni che ci ha fatto Dio per la nostra vita. Avere un buon rapporto con la propria sessualità è una necessità per essere felici. Detto così sembrerebbe la cosa più semplice del mondo, purtroppo non è affatto così. Vivere bene con la propria sessualità è difficile sia da single, sia da fidanzati, sia da sposi, ma vi assicuriamo che non è impossibile. Come abbiamo detto è un dono di Dio e quindi puro, bello e miracoloso se vissuto nel rispetto del progetto per cui è stato creato. Vivere bene la propria sessualità richiede di mettersi in cammino. Fare l’amore è bellissimo ed è fonte di amore e felicità se vissuta nel rispetto del progetto per cui è stata creata.
- La sessualità non è istinto, questo, è presente come forza nella sessualità, ma non la comanda; in essa devono esservi presenti rispetto, tenerezza, accoglienza e dono.
-Non è piacere: è coinvolto in essa, ma non ne è lo scopo. Il piacere della sessualità è dato dall’incontro con l’altro non dal piacere fisico.
La responsabilità della propria sessualità comporta certo un’ascesi faticosa, contrassegnata anche dalla rinuncia, la quale però non è fine a se stessa ma ha come scopo la migliore espressione della propria sessualità. E’ difficile l’inizio; sono faticosi i primi passi nella via per la quale il Signore ci introduce, poi, quando nell’obbedienza ci siamo realmente impegnati, sembra che Dio faccia tutto da sé. Vivere la castità nel fidanzamento è utile per non cadere nel tutto concluso ed è importante viverla, non per non trasgredire le regole, ma per non spegnere l’amore. E’ importante vivere un cammino di pari passo tra corpo e anima e vivere la differenza tra la piena e definitiva comunione di vita e di amore tra il fidanzamento e il matrimonio con una diversa modalità di vivere la sessualità. Vivere il fidanzamento così necessita sicuramente di preghiera, della forza dello Spirito e di fiducia l’uno nell’altro mettendo Dio al centro del nostro cammino di coppia, sicuri del suo amore e che ci vuole felici. L’unione di un uomo e di una donna non è un fatto accidentale, ma il compiersi di un preciso progetto di Dio che nasce nell'eternità. Nel matrimonio se l’amore tra marito e moglie viene vissuto come unione totale, di corpo e anima, esso diviene un’immagine vivente dell’amore divino.
L’amore fiorisce là dove gli uomini hanno riconquistato la propria libertà, dove hanno scacciato le proprie paure, dove il sesso non incute più timore ma è fonte di gioia, dove la fede ha aperto la certezza che l’amore di coppia è una realtà alla quale gli uomini sono chiamati da Dio. I frutti ricevuti da questo modo di impostare il nostro non avere rapporti prima del matrimonio non sapete quanto ci ha aiutato dopo nel vivere la sessualità da sposi. Provare per credere. Si sente dire che il matrimonio è la tomba dell’amore. Per noi è stata la partenza verso un viaggio eterno, è bello vedersi cambiati in questi anni vedersi sempre più belli. Imparare a gestire e a vivere la sessualità nelle diverse stagioni familiari ( nascita di un figlio) La fantasia l’intensità e l’importanza che sappiamo che ha la sessualità nel nostro amore, il saperlo puro dono e fonte di vita del nostro amore e dei nostri figli.
Il tatto... part. 3
Beata te Chiara
La beatitudine di coloro che sono nel pianto dice l’attesa dolente di chi vede ancora non realizzata l’opera di Dio. Non è beato, perciò, il pianto su se stessi, sul proprio io chiuso egoisticamente in sé, sui propri limiti, insuccessi, fallimenti.
Bene lo aveva compreso S. Chiara che scrive ad Agnese di Praga: “Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai”. (Dalla 2 lettera).
E’ fondamentale il “con Lui”, ovvero il “partecipare alle sue sofferenze” come dice Paolo nella lettera ai Romani: “Se siamo figli siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo se veramente prendiamo parte alle sue sofferenze”(Rm. 8,17)
Nel caso della beatitudine degli afflitti a quale sofferenza di Gesù si tratta di partecipare?
Delle occasioni delle quali Gesù ha pianto possiamo individuare come rispondente a questa beatitudine il pianto su Gerusalemme: “Gerusalemme, Gerusalemme… quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli… e voi non avete voluto… non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”(Lc.19,41). E’ la sofferenza di Gesù di fronte alla non accoglienza del dono che è Lui stesso. Chiara è entrata costantemente in questo dolore e afflizione attraverso la sua compartecipazione, il suo portare sempre nella memoria la passione del Signore, la sua vita di “sentinella posta sulle mura di Gerusalemme per risvegliare il ricordo del Signore”. Chiara, attraverso la sua vita di preghiera e di restituzione di sé a Dio, ha risposto all’ invito del profeta, non si è data mai riposo né al Signore ha concesso riposo ricordandogli le Sue promesse finchè non abbia ristabilito Gerusalemme. (cfr. Is. 62,6). La partecipazione di Chiara è molto reale: di lei sappiamo che “dall’ora sesta a nona è presa da maggiore compunzione volendosi immolare con il Signore immolato” e che insegnava alle novizie a piangere la Passione di Cristo (FF 3214-15, Cel.30), ad averla sempre dinanzi agli occhi: questo perché dal Crocifisso si apprende la grande lezione dell’amore e non si finisce mai di scoprire quanto Dio ha fatto per noi. Guardare Cristo Crocifisso spinge all’imitazione: chi si sente amato desidera riamare con la stessa misura di amore e così per Chiara e le sue sorelle questo eccesso di carità si trasforma in una vita penetrata dal Vangelo, nella povertà e nella carità fraterna.
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Beati gli operatori di pace
Il discorso di Gesù sulla montagna si fa sempre più esigente, man mano che procede, quasi a seguire idealmente l’andamento di un sentiero che si inerpica sempre più ripido e a strapiombo, verso la vetta più alta … In questo versetto incontriamo due concetti, così complessi e pesanti, da risultare tutt’altro che astratti. Gesù parla di “beatitudine”, ripetendo questo termine come un ritornello dall’inizio del brano, e di “pace”, e le due cose sembrano qui quasi compenetrarsi fino a esprimere, come in dissolvenza, l’unico anelito del cuore di ogni uomo.
Tutti vorremmo sentirci “beati”, tutti vorremmo vivere in pace. Non è forse vero che espressioni come “beato te!” e “lasciami in pace!” sono fra le prime frasi che abbiamo imparato a pronunciare? Eppure non c’è niente di più difficile da conquistare che queste due realtà del cuore. E anzi, possiamo dire che l’una porta con sé l’altra e non c’è l’una senza l’altra.
Pace e beatitudine sono cose da bambini … ma non da principianti. Per questo Gesù dice altrove: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli”. Per rivelarci che bambini non si nasce, ma si diventa, con un lungo processo di apprendistato: ecco il Vangelo, la buona novella!
Santa Chiara ha vissuto in questa prospettiva, ha compiuto questo percorso di semplificazione se, al termine della sua corsa terrena, poteva così parlare a se stessa: “Va’ sicura in pace, anima mia benedetta, perché Colui che ti ha creata, sempre ti ha guardata come una madre il suo figlio piccolino”. Ecco a quale libertà conduce la beatitudine dei pacifici.
La pace cristiana, però, non è assenza di conflitti, ma pienezza di Bene, amore in azione. Non un sentimento di consolante “serenità”, di impalpabile “armonia”, ma lotta continua contro il peccato, guerra strategica contro l’egoismo. La pace evangelica non si acquista mai a buon mercato, ma al prezzo di… “perdere”: spesso almeno la faccia, a volte perfino la vita.
S. Chiara questo lo aveva sperimentato di persona, se nella Regola al capitolo IX esorta le Sorelle che si trovassero in discordia a chiedersi perdono gettandosi umilmente ai piedi dell’altra, e a rispondere offrendolo generosamente.
Per costruire la pace bisogna innanzi tutto non fare la guerra.
Sembra una cosa ovvia, in realtà non lo è affatto: non farsi coinvolgere da un conflitto o non entrare in gioco quando si tratta di qualcosa che ci tocca, o – più difficile ancora – rinunciare a difendersi quando ci si sente offesi o in pericolo, non è mai una scelta naturale, ma presuppone una grande forza d’animo e una fede ben radicata nella promessa di Gesù. Chiara era una donna forte. E lo dimostra proprio così: dinnanzi ai soldati Saraceni che ormai hanno fatto irruzione dentro il chiostro di san Damiano e sono decisi a tutto, ella si prostra davanti all’Eucarestia, presenza reale del suo Signore, così che – come scrive il Celano: “l’audacia di quei cani, respinta, si acquieta e, superando quegli stessi muri sui quali erano saliti, se ne vanno in fretta, spinti dalla forza della sua preghiera”. Con le stesse armi, poi un’altra volta, questa grande tessitrice di orditi di pace, libera la stessa città di Assisi dall’assedio di Vitale di Aversa: “Andate – disse alle Sorelle – al Signore nostro, e chiedete con tutto il cuore la liberazione della città”. La pace infatti si costruisce in ginocchio.
Ma Francesco ci insegna che la pace è prima di tutto un “affare di cuore”.
Nelle sue Ammonizioni infatti ne parla ben due volte e sempre in relazione a quel “guazzabuglio” di manzoniana memoria che è messo a dura prova dagli eventi della vita. Per Francesco la pace nasce dalla capacità di sopportare le tribolazioni e le ingiustizie con pazienza ed umiltà. Chiara ha fatto di questo insegnamento un caposaldo della sua vita, infatti di lei il Celano può attestare che “durante 28 anni di sofferenze quotidiane non si udì un brontolio o una lamentela, ma dalla sua bocca uscì sempre una santa conversazione e il rendimento di grazie”.
Ecco in quattro mosse come Santa Chiara diventa direttrice dei lavori nei cantieri della pace.
VegliA delle StimmaTe
sparite le galle da sotto i piedi? siete pronti per un nuovo e fantastico anno tra libri di scuola e appunti disordinati pieni di disegni e quadratini?
NOI NO!
Ed è per questo che abbiamo ancora voglia di stare insieme a voi!
Vi invitiamo a pregare con noi in un luogo e in un giorno per noi importante:
Il 16 e 17 settembre alla Verna,
per meditare il mistero delle Stimmate di San Francesco.
Ci aiuterà a vivere meglio questa veglia nella notte, don Fabio Rosini, della diocesi di Roma.
Ci saluteremo raccontandoci l'estate con musica, balli e tante sorprese.
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Per altre info:
sms 331.6380806
e-mail incontrioreb@gmail.com o fratipisa@tiscali.it o la.verna@libero.it
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Vi aspettiamo
Ancora Oreb...
Procede inarrestabile la marcia degli incontri preparati dai frati e animati dalla vostra presenza, in quel di Fiesole.
Con la primavera che ormai bussa alle porte si risveglia la natura e tante nuove idee.
Così è stato per l'incontro che abbiamo vissuto insieme nei giorni di sabato 6 e domenica 7 febbraio, come sempre trascorsi tra impegni e il gusto di stare insieme.
Sembra che in particolare, oltre alla catechesi di fra Federico, sia ben riuscito l'incontro che è stato tenuto dai tre ragazzi della Comunità Cenacolo che sono venuti a parlarci della loro esperienza difficile e del tentativo di uscire dal tunnel della droga nel quale si erano invischiati. Ma quello che ci interessa in special modo è che ci hanno fatto capire come ogni cosa, se male utilizzata, può divenire una droga e darci dipendenza e incapacità di vivere bene.
Pertanto abituiamoci sin da adesso a prenderci cura di noi stessi cercando di comprendere cos'è che ci rende liberi e cos'è che ci rende schiavi del mondo che altri vogliono costruire intorno a noi.
Il video sottostante valga più di queste poche parole sconclusionate...
Con questo video vorremmo ringraziare sia la Comunità Cenacolo sia tutti coloro che si impegnano per aiutare i giovani nel cammino difficile della loro crescita.
Magari se volete potremmo anche metterci d'accordo una volta per andarli a trovare e toccare con mano una realtà difficile.
Perchè non so se ve l'hanno detto ma la vita in genere non è uno schermo sul quale si proiettano immagini ma qualcosa di più reale che si può gustare in modo sano soltanto immergendovisi.
Se sapete di altre storie simili o conoscete dei ragazzi che si stanno impegnando in un cammino come questo, fatecelo sapere, per confrontarci e capire un po' più questo mondo che ci gira attorno...
...oppure siamo noi che giriamo attorno al mondo?
Gustatevi 'ste foto!
L’avventura evangelica di Chiara d’Assisi prese avvio quando, lasciata la casa paterna nobiliare, che sorgeva al centro di Assisi, aveva trovato il suo ‘luogo’ fuori delle mura, presso la chiesetta di San Damiano. Nel suo Testamento, così ricorda gli inizi della sua vita ‘nuova’:
Dopo che l'altissimo Padre celeste, per sua misericordia e grazia, si degnò di illuminare il mio cuore perché, per l'esempio e l'insegnamento del beatissimo padre nostro Francesco facessi penitenza, poco dopo la sua conversione, unita alle poche sorelle che il Signore mi aveva donate poco dopo la mia conversione, volontariamente gli promisi obbedienza, così come il Signore aveva riversato in noi la luce della sua grazia attraverso la sua vita mirabile e il suo insegnamento.
Poi Francesco, osservando attentamente che, pur essendo deboli e fragili nel corpo, non ricusavamo nessuna indigenza, povertà, fatica, tribolazione, o ignominia e disprezzo del mondo, anzi, al contrario li ritenevamo grandi delizie sull’esempio dei santi e dei suoi fratelli, avendoci esaminato frequentemente, molto se ne rallegrò nel Signore. E mosso ad affetto verso di noi, si obbligò verso di noi, per sé e per la sua religione, ad avere sempre diligente cura e speciale sollecitudine di noi come dei suoi fratelli. E così, per volontà di Dio e del beatissimo padre nostro Francesco, andammo ad abitare accanto alla chiesa di San Damiano.
La scelta di Chiara fu decisa e decisiva: Gesù, il Figlio di Dio che per noi si è fatto ‘via’, che cioè ha mostrato in se stesso quale strada percorrere per essere pienamente quelle persone umane volute, pensate, amate dal Padre e Creatore. In Francesco ella riconobbe il modo concreto in cui attuare il desiderio di seguire Gesù. La sua fu una scelta di rottura rispetto allo stile di vita del nascente Comune di Assisi, che si dichiarava ‘cristiano’, ma il cui impianto economico e giuridico era lontano dal Vangelo.
Le conseguenze della decisione di Chiara non tardarono a farsi sentire. Conosciamo la reazione dei suoi familiari, i quali cercarono di riportarla nel palazzo con la forza. Una scena analoga si ripeté quando Agnese, sorella di Chiara, prese la medesima decisione. Gli sforzi per far recedere le due giovani dal loro proposito non ebbero successo, ma la lotta che entrambe dovettero sostenere fu assai dura. Si comprende bene perché Chiara parli di ‘ignominia o disprezzo del mondo’! Il suo destino era un matrimonio di rango, un futuro senza problemi in un palazzo signorile della città, una vita di eleganza e spensieratezza, almeno in apparenza. E simile sembrava essere la sorte della sorella e delle altre giovani donne che a loro si unirono, provenienti quasi tutte dalla nobiltà. Chiara scriverà che esse hanno scelto uno Sposo ancor più nobile, di una nobiltà data non da titoli mondani, ma dall’amore gratuito per tutti, fino al dono di sé. L’esperienza delle prime damianite è quella di una ‘grande delizia’: la gioia di chi sa di vivere alla presenza di Dio, nella comunione con lui. ‘Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro’; ‘Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’: queste parole di Gesù divengono vita vissuta giorno dopo giorno, nella scoperta del dono delle sorelle, nella dedizione ad esse e a chi bussa alla porta di San Damiano.
In questo servizio continuamente rinnovato, Chiara e le sorelle edificano il regno di Dio.
Nella Regola redatta da Chiara poco tempo prima della sua morte, e quindi frutto dell’esperienza dell’intero arco di vita, leggiamo:
Le sorelle attendano a ciò che sopra ogni cosa debbono desiderare: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, pregarlo sempre con cuore puro e avere umiltà, pazienza nella tribolazione e nella infermità, e amare quelli che ci perseguitano, riprendono e incolpano, perché dice il Signore: Beati quelli che patiscono persecuzione per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo.
La beatitudine dei perseguitati sembra il frutto maturato nella vita di fraternità. Chiara qui sta tracciando una sintesi della sua forma di vita, che consiste essenzialmente nel lasciare che lo Spirito Santo operi attraverso ogni sorella. Riconosce che c’è chi perseguita, riprende, incolpa… Come non riconoscere il quotidiano vivere l’una accanto all’altra, fatto delle piccole cose di ogni giorno, che misurano le differenze di sensibilità, di maturazione, di apertura mentale, di fedeltà al Vangelo? E così vengono le riprensioni, le giustificazioni, il nascondere le proprie responsabilità scaricandole sulle altre… Chiara sembra fare cenno a una sorta di ‘persecuzione domestica’, che lo Spirito aiuta a vivere in maniera non vittimistica, ripiegata su se stesse, ma nell’apertura dell’amore. E così costruisce il regno di Dio.